
La sedia scotta quando il teatro in cui sei spettatore ti rende protagonista di un sequestro. Il Boris Godunov della Fura dels Baus arriva a Firenze preceduto da un carico di aspettative. Cartelli appesi ovunque all'ingresso lo sconsigliano a cardiopatici, minori di 14 anni e donne in gravidanza. La sensazione della premessa è la paura: paura di aver paura, paura che il realismo provochi reazioni di panico. Chi partecipa allo spettacolo sa che esso trae ispirazione dalla reale tragedia che si è sviluppata al Dubrovka di Mosca nel 2002. Il primo giorno del sequestro furono i bambini e un cardiopatico ad essere rilasciati dai militanti ceceni che avevano il comando di quella azione, le stesse categorie non sono ammesse allo spettacolo al Saschall.
Gli attori ripercorrono il susseguirsi delle fasi e riproducono ipotetiche situazioni, dialoghi, discussioni verosimili in una situazione di tensione, confusione e morte. La regia di Àlex Ollé accavalla le prospettive, proponendo video delle riunioni dei politici russi, retroscena del teatro stesso (i filmati sono girati proprio all'esterno del Saschall), brani dell'opera teatrale Boris Godunov. Il risultato è di impatto intellettivo, sono di intensità particolare gli interventi della giornalista chiamata alla mediazione, Anna Politkovskaya. Tra tutte le parentesi relative ai protagonisti dell'attacco, ai loro terribili vissuti, c'è una improvvisazione che mi coinvolge: un prigioniero tra gli attori e una sequestratrice, anche lei attrice, si soffermano su un dialogo tratto dal testo teatrale. Parlano dei ruoli, di potere, di donne e uomini, di giovani che vogliono fare la loro storia e di potenti che li usano per fare la guerra.
Di quando in quando gli ostaggi sono minacciati e portati sul palco, ma parlano spagnolo ed è chiaro che noi, spettatori fiorentini, non siamo in pericolo. Intervenire sulla vulnerabilità di qualcuno di noi metterebbe a rischio lo scorrere dello spettacolo sui suoi binari stabiliti, e la compagnia non è alla ricerca di strappi al copione. Molti di fianco a me sono concentrati sui sottotitoli, freddi. Altri a momenti si guardano e ridono e capita anche a me. In fondo siamo dentro ad una farsa di buona qualità, ma troppo riconoscibile per raggiungere anche solo per alcuni minuti il terrore reale che devono aver provato gli ostaggi in Russia. Forse autosuggestionarsi e pensare davvero che possa succedere anche a noi, che ci riteniamo innocenti rispetto alle scelte dei governi, può essere un minimo tributo da rendere al loro dramma.
Di quando in quando gli ostaggi sono minacciati e portati sul palco, ma parlano spagnolo ed è chiaro che noi, spettatori fiorentini, non siamo in pericolo. Intervenire sulla vulnerabilità di qualcuno di noi metterebbe a rischio lo scorrere dello spettacolo sui suoi binari stabiliti, e la compagnia non è alla ricerca di strappi al copione. Molti di fianco a me sono concentrati sui sottotitoli, freddi. Altri a momenti si guardano e ridono e capita anche a me. In fondo siamo dentro ad una farsa di buona qualità, ma troppo riconoscibile per raggiungere anche solo per alcuni minuti il terrore reale che devono aver provato gli ostaggi in Russia. Forse autosuggestionarsi e pensare davvero che possa succedere anche a noi, che ci riteniamo innocenti rispetto alle scelte dei governi, può essere un minimo tributo da rendere al loro dramma.
Mi pare di capire che la rappresentazione non portava in scena i momenti della "liberazione", o forse è meglio dire,del blitz dei russi.
RispondiEliminaE' solo una domanda.
Però, se cosi fosse, direi che il dramma è stato rappresentato solo a metà.