martedì, novembre 10

LISTA #1

Non so se è utile stendere liste e riflettere sul futuro, ma supponiamo che lo sia. Supponiamo poi che condividere le nostre idee con altre persone serva a metterle in moto, a trovare il clima e le alleanze per realizzarle.

Proviamo quindi a buttare giù alcune liste che rispondano ad un tema, per gioco e per scommessa sui nostri sogni e i nostri limiti. La prima potrebbe essere Cose da fare prima di morire. Girando nel web ci sono diversi esempi, dalle polaroid a siti dedicati ad elenchi mensilmente aggiornati dagli utenti.
E come rispose Troisi al grido Ricordati che devi morire "Mo' me lo segno".
le 5 cose che oggi vorrei fare prima di morire

scrivere un romanzo
baciare una donna
andare per lavoro a San Francisco e a New Orleans
avere una figlia
crescere una figlia

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lunedì, novembre 2

One two three four


Stasera al Festival dei Popoli#50 anteprima nazionale di "Woodstock. Now and Then", documentario per la regia di Barbara Kopple.
Puoi avere un campo, un laghetto e una collina e un giorno uno passa di lì, bussa alla tua porta e ti chiede quanto lo fai spendere se ci organizza Woodstock. Tu lo lasci fare.
Il primo giorno una signora di una fattoria della zona sente alla radio che il cibo non è sufficiente per tutti e allora passa la notte a spalmare panini di burro d'arachidi e marmellata. Il giorno dopo dà ordine di distribuirli a chiunque abbia fame, e quando sono finiti, sono finiti. Non vuole che nessuno paghi per quel cibo, ha scelto il suo modo di passare alla storia.
I mass media davano notizie terrificanti che le telefonate a casa hanno contribuito a cambiare. Il fango creato dalla pioggia, dicono, ha reso tutti più uguali.
Le mucche nei dintorni non hanno fatto il latte per settimane.
Freedom is non avere troppo chiaro come deve andare.

sabato, maggio 2

Curiosa replica di un dilemma

Un: “Vorrei che fosse amore, amore quello vero..”
Due: “..Perché no. Perché no. Scusi lei mi ama o no?”
Un: “Vorrei poterti dire che t'amo da morire”
Due: “C'è gente che ama mille cose”

Un: “Sai la gente è strana”

Due: “Vorrei sentirti dire che m'ami da morire”

Un: “Perché no?”

Alessandro e Maria sono due personaggi che non si dicono “ti amo”. La vicenda che portano in scena è il racconto dei rispettivi “io l'amavo”, ossatura di un amore passato, simile a quello di tante coppie franate nelle stesse liti e per le stesse sadiche lotte.
Luca Barbareschi e Chiara Noschese propongono un testo scritto da Giorgio Gaber e Sandro Luporini nel 1982. Lo spettacolo monta come la panna, in obbedienza ad un ritmo che non perde colpi nei turni delle battute, accelerando con gli interventi del sax. Alle spalle degli attori c'è un velo di nuvole, rami e notti, e dietro quel velo c'è un'orchestra di cinque musicisti jazz. Al variare delle luci, la band appare e scompare, mentre la musica resta, nel pianoforte e nella chitarra che Barbareschi di tanto in tanto impugna, nella metrica dei dialoghi e sotto ai duri monologhi, stesa come una rete di sicurezza. Chiara Noschese ci rivela dopo lo spettacolo che a tratti sentirebbe il bisogno di cedere alle lacrime durante l'esecuzione di un brano, ma deve resistere perché il pianto non è compatibile con il canto, va a chiudere la gola. Soltanto ai musicisti, dietro al loro velo, è consentito piangere e suonare insieme.
Si dice che la “curiosa replica di una storia che ha già avuto luogo” fosse la plateale e taciuta confessione di un rapporto esistito tra Gaber e Mariangela Melato, la prima interprete del testo. Si dice che i panni sporchi che si tirano fuori, fossero i loro. Alessandro ossessionato dalla verità, tanto da perdersi a cercarla negli occhi di un padre che muore invece di riuscire a stringerlo a sé. Alessandro “Ce l'ho con tutti quelli che non sono come me”. Maria sfuggente e libertina, impegnata a credersi una controfigura divertita che ha preso le distanze dalla vita. Maria persona “così straordinaria, che bisogna per forza preferire.. come se esistesse”. La forza dei personaggi è quella di oltrepassare le aspettative di genere: uomo e donna si formano nel confronto, durante un tiro alla fune che li denuda, li spella, li protegge, esibisce due complici buffi, due vittime, due carnefici. Il caso di Alessandro e Maria è passato ed attuale, “il loro amore moriva come quello di tutti”, e nel farlo morire si ama, si vive tuttora.

mercoledì, aprile 22

Milk and gender


San Francisco, 1972, un nuovo zio Sam cerca volontari per una battaglia americana. "Il mio nome è Harvey Milk e sono qui per reclutarvi tutti".
Megafoni, volantini, suicidi, fotografie per un'identità incriminata di sessualità anormale, immorale, omosessuale. Una voce che si professa Dio sentenzia "I gay non devono insegnare", "i gay non sanno cos'è una famiglia", "i gay sono malati, sono il male da affrontare".
Ma la California dubita, la "Proposition 6" non passa, la mobilitazione di Milk non la fa approdare. Harvey Milk non è un uomo ma un movimento, l'uomo viene ucciso (da Dan White, con la stessa arma che fa fuori il sindaco George Moscone) ma la contestazione resta. Resta e si fortifica contro gli attacchi dei benpensanti, più essi sputano condanne, più il movimento si compatta. L'iniziativa politica accoglie la disperazione e la speranza degli omosessuali della provincia statunitense, quelli che non hanno una Castro street per mettere in scena la loro normalità.
Le battaglie di genere sono ancora in corso, sono necessarie e difficili da vincere. Sono spesso scivolate in territori semantici che le ruotano su se stesse. Non mi metto a credere che tutti i gay siano uguali, che essere gay sia qualcosa che differenzia qualcuno da me più di quanto non lo faccia il colore della pelle, o la passione per le torte di mele. I gay sono tutti uguali per quel che riguarda i diritti, come il resto degli uomini.
Eppure capita di assistere ad una ridondanza di certi attributi, dichiarazioni di omosessualità o di femminismo che paiono offoscare la complessità delle nostre personalità.
Questo mi fa pensare all'assemblea dei giornalisti in cui ho ricevuto la tessera dall'ordine. Mi facevano i complimenti perchè ero "una bella ragazza", e mi incoraggiavano a lavorare bene "perchè sei una donna". Donna? Io sono una giornalista. Percepisco la differenza ma non il bisogno di rimarcare. Tale bisogno mi fa la spia a un senso di inferiorità che si bea della sua peculiarità ma non compete alla pari. La differenza di competenza si nota persona per persona. Essere gay non è meglio, essere donna non è meglio, dovrebbe fare lo stesso in merito alle possibilità di riuscire o fallire.
Vedere chi è la persona, oltre le etichette e i marchi culturali, vederne le qualità e osservarne le scelte, mi dà uno spessore a cui non voglio rinunciare. Nel film di Gus Van Sant, al fianco di Harvey Milk nel suo arrivo a San Francisco c'è un uomo che lo sostiene e lo ama, Scott Smith
. A un certo punto Scott Smith si scoccia e lo lascia, si stacca dal ruolo di compagno del politico in ascesa. La sua presa di posizione, che sia uomo, che sia donna, che sia gay, è uno spunto di riflessione. Ci sono sensazioni e sofferenze che ci avvicinano tutti, c'è una complessità di cui innamorarsi sotto le semplificazioni e i recinti.
In effetti dal personaggio interpretato da James Franco, sfido io quale donna o uomo non sia stato conquistato.. se lo bacia senza posa anche quel Material Man di Sean Penn. Terapia per un amico omofobico.

Rita Levi Montalcini non si è seduta sul fatto di essere una donna per diventare un premio Nobel. Eppi Berdei Rita, 100!

sabato, aprile 11

la terra trema

Le certezze sono fatte di materiali ambigui, con strumenti da prestigiatore che spostano le posizioni e la materia, fanno sparire conigli e apparire monetine. Eppure l'uomo instancabile sfida il tempo per fortificarle e proteggerle. Il forziere dove ognuno di noi ripone le sue piccole sicurezze, ha una chiave non duplicabile e si trova nascosto sotto al letto. La casa è la grotta del nostro fuoco, la camera è la zona più interna della casa ed il letto è la parte più intima della camera.
La casa è una sorta di bolla sospesa dal mondo, un capolinea emotivo, ma insieme se ne sta ancorata ad un territtorio, ad una terra schiacciata dal peso delle mura. Quella terra quasi non si nota, viene calpestata e pensata stabile, salda. Ci troviamo su di un pianeta che ruota di continuo intorno a se stesso, intorno al sole, intorno a galassie di cui non possiamo vedere la fine. Eppure la vita sociale si organizza intorno alla definizione di certe stabilità, dimenticando quello che non viene immediatamente percepito dai sensi.
La terra è un'ancora metaforica per non andare alla deriva, viene scrutata dalle navi, è accostata a caratteristiche materne, dà frutti e lavoro.
Terra natìa, pomme de terre, servi della gleba. Anche il disprezzo o il distacco usano la terra come termine di paragone: quella è davvero una terrona, quello fa solo discorsi terra terra. Comunque chi sta con i piedi per terra è una persona concreta, risolutiva, pratica e sicura.
Ma se la terra trema? Se la casa crolla? Se la camera ingoia il letto? Se il forziere non si trova più? Sembra incredibile eppure si sa che a volte, specialmente nelle zone sismiche, succede. Fin da bambini siamo avvertiti da questa profezia:

Casca il mondo casca la terra tutti giù per terra
.
E allora perchè non costruiamo delle casine in grado di ballare la rumba con la terra senza finire in pezzetti? A pezzi può andare la carta, non la casa, lo sanno anche i bambini.

martedì, aprile 7

Estero ed ali


La fuga dei cervelli all'estero.
Per fare il dottorato, devi andare all'estero.
Andò all'estero in cerca di lavoro e non è più tornata.

Chissà che tempo fa, all'estero. Chissà se ci si innamora. Se la gente mangia il gelato con forchetta e coltello o se frulla le banane invece di addentarle. Se all'estero i terremoti fanno crollare le scuole oppure creano l'effetto idromassaggio nelle piscine comunali. Chissà se all'estero ci si arriva mai.
L'estero è altrove da dove ti trovi. Il paese di balocchi, l'erba più verde del vicino. Sembra più facile realizzarsi in ogni frase che nomina l'estero. Come se ci fosse un posto speciale, che si chiama Estero. Come se appena fuori dai confini il mondo fosse unico, esotico, allettante. Nemo propheta in patria, ma sti cazzi, qualcuno ce la fa. Qualcuno diventa sindaco nel paese dove è nato, oppure fonda un'azienda che poi dà un lavoro onesto a migliaia di persone. C'è chi cambia perfino il costume del proprio paese. Un nome? Gabrielle Bonheur Coco Chanel. Une femme.
Il padre faceva il venditore di stoffe ambulante, la madre la sarta.
"Se sei nato senz'ali, non fare mai nulla per impedire loro di crescere".
Avere delle ali e usarle per andare lontano. Oppure, avere delle ali e usarle per guardarsele nello specchio. Oppure ancora, ispirare il volo di Icaro verso il sole. Oppure ancora, avere delle ali e farsi assumere dal servizio nascite-con-cicogna del proprio reame.
Oppure inventare un'idea di donna e di uomo per i quali le regole di seduzione siano mutate. Femmine con il cavallo dei pantaloni, pratici per lavorare fuori casa. La moda dell'abbronzatura, invece del disprezzo snob per chi aveva la pelle scurita dal bisogno di guadagnare un salario costruendo tetti e pareti e case. Riforma sociale scritta sui tagli della stoffa.
"La moda riflette sempre i tempi in cui vive, anche se, quando i tempi sono banali, preferiamo dimenticarlo".

domenica, marzo 22

Suicide candy

Pillole dal cinema koreano. Anzi, caramelle alla menta, e binari, treni, lacrime, donne deluse e uomini violentati. Yong-ho è il protagonista di questo film-racconto a ritroso, che precorre la struttura di Memento di Christopher Nolan. Yong-ho è un tale sconvolto che esprime in punto di morte la volontà di tornare indietro, e il regista lo asseconda. Scopriamo come ha disimparato ad amare, come ha picchiato, tradito, ucciso, pianto ed infine raccolto un fiore. La vita l'ha messo davanti a traumi di livello profondo, e lui si è sgretolato ma è sopravvisuto a tutti. Forse quello che ha dovuto affrontare ha strappato dalle sue mani una dolcezza originaria, forse la sua mente non ha mai avuto una quiete reale.
Il nostro Yong-ho va avanti fino all'ultima prova, la scena con cui il film si apre: la rimpatriata, il pic nic a cui partecipa dopo 20 anni con gli amici di un tempo, davanti allo stesso fiume. Aveva retto tutto, ma sotto tale peso lui crolla e abbandona l'ultimo sforzo di sopravvivenza.
Alcuni elementi che ricorrono nella nostra esperienza sono dei fil rouge, dei segni che ci danno un senso e uno spessore, ci rendono persone che non sarebbero le stesse se resettassero la memoria ad ogni alba. Le caramelle alla menta di Yong-ho sono le madeleine di Proust, ma anche una maledizione a confrontarsi un passato che non abbiamo saputo vincere.
E tra tutti gli incubi che ricorrono nelle notti degli adulti di oggi, c'è quello di dover ripetere l'esame di maturità, oppure di dover sostenere un'interrogazione di fisica della quale non riusciamo più a completare le formule. Una tragedia contemporanea si consuma nelle scene di
Compagni di scuola di Carlo Verdone.
Sarebbe un sollievo staccare e recidere laddove non serve tornare, conservando soltanto la sensibiltà e la forza che la sofferenza piccola ma continua ci ha lasciato. Ma tagliare non si può, non si eliminano gli ex ed il loro odore, se non nella trama di altri film come Se mi lasci ti cancello di Michel Gondry, non si inghiottiscono certe angherie davanti alle quali ci hanno trovato fragili. Forse si potrebbe cercare di imparare a ridere, dopo aver pianto e urlato per noi stessi e per il presente che è passato, su di noi. In Peppermint candy, nonostante la comicità insita in certi personaggi, questa risata non c'è stata.