mercoledì, aprile 22

Milk and gender


San Francisco, 1972, un nuovo zio Sam cerca volontari per una battaglia americana. "Il mio nome è Harvey Milk e sono qui per reclutarvi tutti".
Megafoni, volantini, suicidi, fotografie per un'identità incriminata di sessualità anormale, immorale, omosessuale. Una voce che si professa Dio sentenzia "I gay non devono insegnare", "i gay non sanno cos'è una famiglia", "i gay sono malati, sono il male da affrontare".
Ma la California dubita, la "Proposition 6" non passa, la mobilitazione di Milk non la fa approdare. Harvey Milk non è un uomo ma un movimento, l'uomo viene ucciso (da Dan White, con la stessa arma che fa fuori il sindaco George Moscone) ma la contestazione resta. Resta e si fortifica contro gli attacchi dei benpensanti, più essi sputano condanne, più il movimento si compatta. L'iniziativa politica accoglie la disperazione e la speranza degli omosessuali della provincia statunitense, quelli che non hanno una Castro street per mettere in scena la loro normalità.
Le battaglie di genere sono ancora in corso, sono necessarie e difficili da vincere. Sono spesso scivolate in territori semantici che le ruotano su se stesse. Non mi metto a credere che tutti i gay siano uguali, che essere gay sia qualcosa che differenzia qualcuno da me più di quanto non lo faccia il colore della pelle, o la passione per le torte di mele. I gay sono tutti uguali per quel che riguarda i diritti, come il resto degli uomini.
Eppure capita di assistere ad una ridondanza di certi attributi, dichiarazioni di omosessualità o di femminismo che paiono offoscare la complessità delle nostre personalità.
Questo mi fa pensare all'assemblea dei giornalisti in cui ho ricevuto la tessera dall'ordine. Mi facevano i complimenti perchè ero "una bella ragazza", e mi incoraggiavano a lavorare bene "perchè sei una donna". Donna? Io sono una giornalista. Percepisco la differenza ma non il bisogno di rimarcare. Tale bisogno mi fa la spia a un senso di inferiorità che si bea della sua peculiarità ma non compete alla pari. La differenza di competenza si nota persona per persona. Essere gay non è meglio, essere donna non è meglio, dovrebbe fare lo stesso in merito alle possibilità di riuscire o fallire.
Vedere chi è la persona, oltre le etichette e i marchi culturali, vederne le qualità e osservarne le scelte, mi dà uno spessore a cui non voglio rinunciare. Nel film di Gus Van Sant, al fianco di Harvey Milk nel suo arrivo a San Francisco c'è un uomo che lo sostiene e lo ama, Scott Smith
. A un certo punto Scott Smith si scoccia e lo lascia, si stacca dal ruolo di compagno del politico in ascesa. La sua presa di posizione, che sia uomo, che sia donna, che sia gay, è uno spunto di riflessione. Ci sono sensazioni e sofferenze che ci avvicinano tutti, c'è una complessità di cui innamorarsi sotto le semplificazioni e i recinti.
In effetti dal personaggio interpretato da James Franco, sfido io quale donna o uomo non sia stato conquistato.. se lo bacia senza posa anche quel Material Man di Sean Penn. Terapia per un amico omofobico.

Rita Levi Montalcini non si è seduta sul fatto di essere una donna per diventare un premio Nobel. Eppi Berdei Rita, 100!

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